Per quanto non lo si voglia dire apertamente (ma anche sì, in realtà) l’identità di questo spazio di confine si posiziona, per l’appunto, sul confine, alle periferie, alle estremità della concezione fondativa dell’immagine e del sonoro, del loro utilizzo, del loro sfruttamento, delle loro implicazioni. Cionondimeno, nulla toglie che anche in un contesto potenzialmente ributtante come quello dell’industria, del finanziamento, della massificazione dell’audiovideo possano esistere (rari) casi di merito. Merito che sta in ogni caso distante anni luce dalla militanza che predichiamo in questi spazi, ma che, ascrivendo questi esempi in un contesto puramente ricreativo (e limitandosi a ciò che la visione può darci in tal senso, altrimenti è improbabile uscirne vivi), può comunque sollevare qualche parola in merito. Una scrittura probabilmente disimpegnata, così come lo è l’oggetto di scrittura; certo che è richiesta una parzializzazione del proprio sguardo per apprezzare un certo tipo di cinema pop meno pop degli altri (non è mai troppo difficile risultare intelligente in mezzo a una massa di cretini, ma se guardi ai meno cretini allora forse il discorso cambia). Ad ogni modo, ogni tanto una parola su un film industriale può anche essere spesa. Prendendo tutto per quel che è; del resto ciò che sta in questa sezione ha comunque un’importanza per chi scrive.
- Love exposure (Sion Sono, Giappone, 2008)
- Twin Peaks – The return (David Lynch, USA, 2017)