Che la riappropriazione dialettica, per quanto ormai postuma, del Cinema dovesse passare essa stessa attraverso un atto di morte era fuori da ogni dubbio, ma non è tanto alla morte di un Cinema che può (forse) rivivere che dobbiamo guardare, quanto piuttosto alla necrosi cancerosa che ne ha causato la putrefazione e che, dissimulandosi in silenzio tra le fibre in decomposizione, ne ha occupato il posto dando (non)vita alla sua salma e persuadendo il mondo intero all’adorazione del fantoccio sorto sopra quella carcassa. Continua a leggere The act of seeing with one’s own eyes (Stan Brakhage, 1971)
Sleep has her house (Scott Barley, 2017)
Esperienza in crescendo, questo Sleep has her house (2017), primo test al lungometraggio del gallese Scott Barley, e non si può che parlare di esperienza, immersiva ed (extra)sensioriale, per questo notevole e, paradossalmente, crepuscolare esordio alla regia. Una natura morta, o la morte della natura, che è in sé e per sé un atto di vita, dal momento che la morte è l’attuazione più rigorosa della vita stessa, per quanto, per dirla con Kierkegaard, “nella vita l’unica cosa certa è la morte, cioè l’unica cosa di cui non si può sapere nulla con certezza”. Continua a leggere Sleep has her house (Scott Barley, 2017)
Love exposure (Sion Sono, 2008)
Capolavoro estetico e stilistico del nuovo cinema giapponese, nonché apice del messaggio socio-individuale dell’eclettico e stravagante Sion Sono, Love Exposure (2008) riscrive i canoni del dramma nipponico, tracciando un impietoso, diretto e tuttavia amorevole ritratto della sua società sfilacciata e contradditoria. Continua a leggere Love exposure (Sion Sono, 2008)
La última película (Raya Martin, Mark Peranson, 2013)
“I don’t think of film as a purely creative act, I don’t think of film as an egomaniacal act, I don’t think of film as a sexual act, I don’t think of film as an act of ego, I don’t think of film as an act of hybris. I think of film as an act of destruction”.
La sensazione è quella che non potesse esserci epilogo differente per l’epilogo dei film, e che il presupposto testamentario dell’epigrafe cinematografica di Raya Martin e Mark Peranson non potesse che materializzarsi nella morte del film, nel trapasso conclusivo dell’esposizione su pellicola di immagini in decomposizione, nell’estetizzazione del decesso dell’ho visto in favore del non ho (ancora) visto. Continua a leggere La última película (Raya Martin, Mark Peranson, 2013)
La torre (Sebastián Múnera, 2018)
“Il 17 Marzo del 2004, una congegno esplosivo venne fatto detonare nella Biblioteca Pubblica Piloto di Medellin; un luogo che conservava la maggior parte dell’archivio fotografico della storia della Colombia. Una sola fotografia è l’unica prova rimasta di quella barbarie.”
Nasce dalla rimembranza sanguinante e dolorosa di questo triste e degradante evento, l’opera prima del colombiano Sebastián Múnera, promettente e giovane artista sudamericano, ambientata in quella Medellin già vessata e nota al mondo intero per la sua celebre e funesta storia di violenza, una violenza che (ahimè) sorpassa anche quella dell’antefatto da cui attinge questo La torre, e che non fa che da contestualizzazione aggiuntiva (se mai ce ne fosse bisogno) alla sopraffazione di un popolo e della sua identità collettiva, tanto stremata quanto laboriosa nel tentativo (l’ennesimo) di riappropriamento di una pace e di un equilibrio che le sono da sempre stati negati. Continua a leggere La torre (Sebastián Múnera, 2018)
Heremias, book one. The legend of the lizard princess (Lav Diaz, 2006)
“Sì, siamo il paese al mondo che ha il maggior numero di tifoni. Ai filippini i tifoni addirittura piacciono, sono parte della nostra natura, della nostra cultura. Ci preoccupiamo quando non ci sono tifoni per un po’ di tempo.”
(Lav Diaz)
Fenomeno naturalistico di annientamento ed anti-naturalezza, elemento ingombrante ed incernierato indistinguibilmente nell’identità filippina stessa, il tifone è perenne (anti)protagonista di gran parte di (ed, a ben vedere, travalicando i confini del mero evento geo-meteorologico, di tutta) la fluviale e strabordante produzione cinematografica del maestro filippino Lav Diaz, figura ormai tra le più imponenti nel panorama filmico contemporaneo, autore imprescindibile ed im-mediato, procreatore del cinema probabilmente più puro ed incontaminato dell’intero panorama audiovisivo attuale. Continua a leggere Heremias, book one. The legend of the lizard princess (Lav Diaz, 2006)
Cavalo Dinheiro (Pedro Costa, 2014)
“Tutti i tuoi figli devono ancora nascere. (…) Sei già morto migliaia di volte, Ventura. Che cos’è una volta di più?”
I fantasmi parlano di nuovo, nessuno è ancora sepolto. Da Fontainhas al Nulla, la strada intrapresa da Ventura e dai suoi figli forse non è ancora chiusa. Epigrafe (contro)rivoluzionaria e omnicomprensiva del progetto di una vita intera (o, maggiormente, di centinaia di migliaia di vite capoverdiane), Cavalo Dinheiro (2014) si incarna come la summa stilistico-concettuale del portoghese Pedro Costa. Il Cinema come missione, finalmente. Continua a leggere Cavalo Dinheiro (Pedro Costa, 2014)
Behemoth (Zhao Liang, 2015)
Silenzio. Immobilità ectoplasmatica dell’entroterra cinese più rarefatto. Esiste questo posto? Uno scoppio. Fragoroso squarcio di una terra che sanguina, che si trascina, che viaggia senza fermate verso il futuro, e verso l’oblio. Un boato: ma chi ascolta? Esiste, esiste. Ma probabilmente non per molto ancora. Torna il silenzio, irreversibile testimone di un vuoto pneumatico che non sarà disturbato. Continua a leggere Behemoth (Zhao Liang, 2015)