Che l’immagine cinematografica rappresenti costitutivamente un’alterità sostanziale rispetto al suo stesso atto di concepimento e, soprattutto, rispetto alle persone che ne propongono a tutti gli effetti l’esistenza e la materializzazione (termine abusato e sicuramente fuori luogo, perché sull’ontologia e sulla materialità dell’immagine si potrebbe aprire un discorso ahimè ben più stimolante di quello che ci costringe in questa sede a rivolgerci a una persona, più che a un’immagine, e già con questo chiedo di capire perché io abbia aperto queste righe accostando i concetti di immagine e della sua materializzazione, e dunque di perdonare la grezzura – indotta – di questa affermazione), che l’immagine sia a tutti gli effetti altro dalla persona in carne ed ossa che la assembli, si diceva, questo era già chiaro, ché un’immagine che non vada oltre alle ristrettezze della singolarità e del particolare non è un’immagine, ma una pubblicità, uno spot che affonda le proprie ambizioni (e, senza dover utilizzare questo termine altezzoso, diciamo la propria condizione di possibilità) dieci metri sotto terra. Certo che, quando è esattamente questo quello di cui ci si trova a dover parlare, vien proprio da incazzarsi. Continua a leggere Funeralopolis – A suburban portrait (Alessandro Redaelli, 2017)
Categoria: Evidenze
Fuck Cinema (Wu Wenguang, 2005)
Probabilmente non c’è commento migliore di quello indicato dal titolo del suo stesso film al lavoro del cinese Wu Wenguang; o meglio, siccome una precisazione qui è d’obbligo, non tanto al lavoro di Wu Wenguang, bensì proprio a Wu Wenguang. Perché talvolta capita che dalle peggiori intenzioni sorga un’epifania svelatoria e basilare, per quanto concepita del tutto fuorchè volontariamente da qualcuno che sotterreresti volentieri per come aveva inteso in partenza ciò che – suo malgrado! – ha creato. Continua a leggere Fuck Cinema (Wu Wenguang, 2005)
Videograms of a revolution (Harun Farocki, Andrei Ujică, 1992)
Viene sempre da pensare a quanto inattaccabile sia solitamente una certa forma di schiavismo intellettuale che imperversa un po’ qua e un po’ là e che, tanto più si professa libera posizione, tanto più palesa la propria sottomissione inconsapevole ai dettami del luogo comune; prima di tutto, qui si parla di immagini e poi, secondariamente (ed è solo un corollario), di immagini del Cinema. Continua a leggere Videograms of a revolution (Harun Farocki, Andrei Ujică, 1992)
Behemoth (Zhao Liang, 2015)
Silenzio. Immobilità ectoplasmatica dell’entroterra cinese più rarefatto. Esiste questo posto? Uno scoppio. Fragoroso squarcio di una terra che sanguina, che si trascina, che viaggia senza fermate verso il futuro, e verso l’oblio. Un boato: ma chi ascolta? Esiste, esiste. Ma probabilmente non per molto ancora. Torna il silenzio, irreversibile testimone di un vuoto pneumatico che non sarà disturbato. Continua a leggere Behemoth (Zhao Liang, 2015)