Che l’immagine cinematografica rappresenti costitutivamente un’alterità sostanziale rispetto al suo stesso atto di concepimento e, soprattutto, rispetto alle persone che ne propongono a tutti gli effetti l’esistenza e la materializzazione (termine abusato e sicuramente fuori luogo, perché sull’ontologia e sulla materialità dell’immagine si potrebbe aprire un discorso ahimè ben più stimolante di quello che ci costringe in questa sede a rivolgerci a una persona, più che a un’immagine, e già con questo chiedo di capire perché io abbia aperto queste righe accostando i concetti di immagine e della sua materializzazione, e dunque di perdonare la grezzura – indotta – di questa affermazione), che l’immagine sia a tutti gli effetti altro dalla persona in carne ed ossa che la assembli, si diceva, questo era già chiaro, ché un’immagine che non vada oltre alle ristrettezze della singolarità e del particolare non è un’immagine, ma una pubblicità, uno spot che affonda le proprie ambizioni (e, senza dover utilizzare questo termine altezzoso, diciamo la propria condizione di possibilità) dieci metri sotto terra. Certo che, quando è esattamente questo quello di cui ci si trova a dover parlare, vien proprio da incazzarsi. Continua a leggere Funeralopolis – A suburban portrait (Alessandro Redaelli, 2017)